Ultimamente ho notato che si sono infittiti gli appuntamenti che hanno contribuito a mantenere viva la memoria dell’Autonomismo Friulano che dal lontano 1945 ad oggi ha cercato di mettere radici nella nostra Regione. Conosco bene fatti e personaggi di ieri e di oggi che hanno tentato di dar vita ad un movimento che non è mai riuscito a decollare e a coinvolgere il popolo friulano, sia nel sostenerlo che nel alimentarlo. E i numeri lo confermano.
Non mi dilungo nel ricordare diverbi e guerre intestine nell’ambito autonomista, anche fra i “pionieri”, ma è sufficiente riportare la frase di don Placereani a riguardo: al varès podût fâ strade un Moviment Autonomist Furlan, se no lu vessin copât di piçul. (avrebbe potuto far strada un Movimento Autonomista Friulano se non lo avessero ucciso da piccolo).
Comunque sia, la voglia di ricordare mantiene viva l’illusione di un Friuli autonomo ma il tutto si spegne l’indomani con un articolo sul giornale e, raramente, con qualche “lettera al direttore”.
Poca cosa. Scusate la franchezza.
Anche oggi, come una volta, si susseguono i tentativi di aggregazioni autonomiste che cercano di recuperare identità, lingua e valori che contraddistinguono la nostra gente, ma sempre, come una volta, senza l’unione e la forza sufficiente per ottenere un risultato apprezzabile.
E’ una mia convinzione: se in una regione autonoma non c’è un partito locale che sostiene, indirizza e pesa sulle decisioni del Consiglio Regionale, al di fuori degli schieramenti nazionali, la parola “autonoma” perde quasi tutto il suo significato. Le altre regioni autonome sono tutte supportate da un partito locale che oscilla dal 15 al 30 per cento mentre in Friuli, lo storico “Movimento Friuli” non ha mai superato la soglia del 3 / 4 per cento, quando era al massimo della sua potenzialità.
Eppure le aspirazioni all’autogoverno sono ancora vive dopo oltre cinque secoli di sottomissione a sistemi politici estranei: dai veneziani ai francesi, dagli austro-ungarici agli italiani…
Probabilmente l’Italia, in questi ultimi settant’anni, è riuscita a scardinare più degli altri la compattezza del Friuli con una unione forzata e artificiale come la regione Friuli – Venezia Giulia.
Da un documento redatto nel 1987 dal Comitato di Studio per l’Autonomia Friulana si legge che questa unione condanna il Friuli… “ad una mera espressione geografica, senza nessuna istituzione politico-amministrativa che lo comprenda interamente ed esclusivamente, che lo unisca e lo definisca. Non esistono organi elettivi che lo rappresentino nel complesso e lo guidino. Non esiste un centro ufficialmente riconosciuto, il capoluogo del Friuli, che lo innervi. Non esiste una definizione ufficiale dei suoi confini. Non esiste una istituzione di alta cultura ad esso intitolata che ne alimenti lo spirito, ne un grande mezzo di comunicazione che lo informi e formi l’opinione pubblica… Il consolidamento della regione unitaria Friuli – Venezia Giulia non può che passare attraverso la disgregazione della sua componente friulana. Chi opta a favore di questa unità regionale artificiosa deve avere coscienza che collabora all’estinzione di un Paese che ha almeno mille anni di storia. In cuor suo ha già sepolto l’idea di Friuli ed è del tutto insufficiente che ne coltivi la storia, la lingua e le tradizioni…”. Questa la dura sentenza dei saggi.
A questo punto vale la pena di battersi per l’identità e l’autonomia friulana?
Oggi pochissimi politici friulani abbandonerebbero il partito di appartenenza (credo nessuno) per dar vita ad un movimento autonomista, dunque, la loro presenza a queste manifestazione è già di per sé negativa, controproducente. Sono potenziali nemici.
La soluzione, dunque, è solo quella di creare una nuova classe politica che dia vita ad un partito autonomista. Sono convinto che le persone per guidarlo già ci sarebbero anche se oggi le difficoltà per crearlo sono quasi insuperabili.
Ringrazio comunque chi scrive di autonomismo creando dibattito e opinione, ma alla fine restano solo le parole… e neanche quelle friulane.