Dicono di me

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Intervista al Corriere Canadese

Mattia Bello

Domenica 7 novembre torna ad esibirsi a Toronto il re della canzone popolare friulana. Cosa proporrà al pubblico che accorrerà alla “Famee Furlane”?

Proporrò, attraverso le canzoni, la storia del Friuli degli ultimi 50 anni. Le canzoni, in generale, rispecchiano più fedelmente dei libri di storia i cambiamenti, gli umori, i fatti che determinano la vita di un popolo.

Cosa significa per lei riabbracciare persone che mancano da tanti anni dalla terra d’origine?

E' un'emozione straordinaria. In quell'abbraccio c'é un qualcosa che ci unisce, che va al di là dell'atto materiale. C'é il cuore, l'anima di una identità che ci accomuna anche se non ci conosciamo, se non ci siamo mai visti.

Quand’è l’ultima volta che è venuto in Canada? Cosa le piace di questo grande Paese?

L'ultima volta sono stato lo scorso anno per festeggiare il 30° anniversario del fogolâr di Vancouver. Mi sono fermato solamente un giorno. A parte questa sporadica presenza, sono 12 anni che non metto piede in Canada, a Toronto. La prima volta fu nel 1974. Del Canada ho un bellissimo ricordo: fu il primo Paese a "credere" in quello che avevo iniziato a proporre artisticamente nei primi anni Settanta. L'ho visitato in lungo e in largo, per ben 6 volte, da Halifax a Vancouver. Sicuramente ha contribuito nello spronarmi a continuare su quella strada... E sono ancora qua!

Cantautore popolare, scrittore, ideatore e presentatore di trasmissioni tv, politico, è stato ad un passo dalla presidenza di “Ente Friuli nel Mondo” alle elezioni dello scorso giugno. Qual è il segreto del suo successo? Qual è il filo conduttore di tutti questi impegni?

Non ci sono segreti! C'é solamente la grande passione per la mia terra, per la mia gente. Il rispetto per chi, prima di me, ha mantenuto vivi i valori, la lingua... Sento il dovere di mantenere vive queste realtà, certo che un domani saranno ricercate quando ci accorgeremo di essere soltanto un "numero" in questo mondo globalizzato. Per quanto riguarda la politica, l'Ente Friuli nel Mondo, ecc. per il momento sono "perdente" per il semplice fatto che ci metto il cuore e l'anima in queste cose. Per la verità, oggi, questi due elementi non sono tanto gettonati. Non mi dispero per questo, anzi, continuo il mio impegno con una libertà e una serenità che... mi fa star bene.

A luglio è uscito il suo ultimo disco, “Voe di identitât” (“Voglia d'identità”, ndr), l'undicesimo, dopo una pausa discografica di 10 anni. Ci sono quattro sue composizioni, due canzoni italiane tradotte in friulano e due sue rivisitazioni del grande Pasolini. Come nasce questo disco?

Nasce, come dicevo nella prima risposta, dalla voglia di segnalare attraverso le canzoni momenti di vita, passaggi naturali che inevitabilmente si susseguono in ogni identità. Le identità cambiano. In Friuli, fra 20 anni avremo anche noi qualche sindaco albanese, qualche consigliere marocchino...E' normale! In Canada, i giovani figli di friulani sono canadesi. Ed è giusto sia così! Ma nessuno può proibire loro di essere "orgogliosi" di avere radici friulane, di mantenere un contatto con la terra di origine... Pasolini queste cose le diceva cinquant'anni fa. Per quanto riguarda le traduzioni dall'italiano, l'idea é nata dall'incontro che ho avuto con Sergio Endrigo e Bruno Lauzi. Tutti due questi artisti sono stati in Friuli, hanno cantato in friulano, e diversi artisti locali hanno tradotto dei loro testi in friulano... Uno scambio interessante che ho voluto segnalarlo anche sul CD.

Il primo album è del 1975 “Mandi vecjo Friûl”. Quali sono i ricordi più belli di questi 35 anni di carriera?

Ne ho tanti che mi é difficile ricordare qualcuno in particolare. Posso riassumere il tutto dicendo che mi sento un uomo fortunato per aver vissuto emozioni straordinarie.

Cosa significa la parola “identità” oggi?

Il piacere di essere qualcuno. E non é poco. Tutte le cose e le persone con le quali convivi (centra anche il carattere, il clima, la storia...) fanno sì che tu sia quello che sei. Se poi tutto é basato sul denaro, come oggi succede, é chiaro che l'identità interessa a pochi.

Cosa pensa dei “fogolârs”, fortemente presenti in Canada e sparsi un po’ in tutto il mondo? E’ d’accordo con la proposta di Pietro Pittaro e di alcuni politici regionali (mi riferisco a Molinaro e Fontanini) di trasformare i club friulani in partner commerciali della Regione FVG?

Posso anche essere d'accordo se però, alla base, rimane in primo piano l'identità, quella identità che ha fatto nascere i Fogolârs Furlans. Se l'immagine del Friuli deve essere solo commerciale non serve più l'Ente. Bastano le Camere di Commercio: sono più attrezzate e... friulane anche quelle. Guai se viene a mancare lo scambio culturale.

Il 2 ottobre ha presentato il “Festival della canzone friulana” al teatro Giovanni da Udine. Cosa ne pensa delle nuove leve? C'è qualche nome da segnalare, qualcuno che l’ha particolarmente colpita?

E' stato un grande evento che ha richiamato 1200 persone. Queste manifestazioni fanno bene all'immagine friulana ma devono avere una continuità. Continuità che ancora non c'é. Ognuno cura il suo orticello e cerca di accaparrarsi i "contributi" senza badare ai risultati. Se sono fiori... fioriranno!

Primo caso nella storia in Friuli, sabato 28 agosto ha officiato un matrimonio in lingua friulana nella “sala del Popolo” del comune di Udine, delegato dal sindaco Furio Honsell. Da chi è nata questa idea? Cosa ha provato nel rivestire questo ruolo, a dir poco particolare?

L'idea é nata dai due sposi. Sinceramente neanche sapevo che un cittadino qualunque può unire in matrimonio una coppia di sposi. Ero emozionato più degli stessi sposi, con tanto di fascia tricolore... Bello!

Qual è l’aneddoto più divertente della sua “vita sul palco” che vuole regalare ai fan italo-canadesi?
Ricordo uno spettacolo in un college presso Toronto, con oltre 1000 spettatori dove ho diviso il palco con don Ermanno Bulfon, quel prete che aveva la grinta e il coraggio di esprimere la sua identità e la sua fede, senza paura. Aveva qualcosa di "umano" che lo rendeva "divino". Ho imparato molto da lui.

Lei è un artista eclettico, un punto di riferimento della cultura friulana. Dopo una carriera piena di successi, ha ancora qualche sogno nel cassetto?

Ne ho molti, pur sapendo che forse non si avvererà nessuno. Avrei piacere che alcune mie canzoni, ancora attuali, fossero riprese dai giovani, lasciando loro la libertà di arrangiarle a piacimento... Ho scritto un libro sulla mia vita artistica, politica, privata, sui viaggi ecc. che, forse, sarà pubblicato a breve. Avrei piacere di collaborare con l'Ente Friuli nel mondo... Vorrei creare un "movimento" di giovani tutto friulano. Ho nel cassetto un progetto che si chiama "FriulFest", un Mittelfest tutto
friulano... Vorrei fare uno spettacolo accompagnato da una grande orchestra... Sono solamente sogni... ma lasciatemi sognare.

Mandi!

Dario Zampa, cantautore friulano

Lorenzo Tempesti

1) La tua carriera artistica va avanti ormai da più di 40’anni: com’ è cambiato il tuo modo di fare musica oggi rispetto a ieri?

Non sono un musicista! Sono un cantautore popolare che ha un suo stile ed un suo modo di proporre canzoni. Alla musica non do tanta importanza: è un mezzo per “rivestire” delle parole, più o meno impegnate, che presentano riflessioni, fatti o personaggi di vita quotidiana.

Dunque, per rispondere alla domanda, non è cambiato il mio modo, o meglio il mio stile, ma sono cambiati i tempi, ai quali cerco di adeguarmi presentando la realtà nella quale vivo. Se fossi musicista mi adeguerei alle mode musicali, ma sono altri che possono farlo meglio di me, anche con le mie stesse canzoni.

2) Com’è cambiato l’atteggiamento del pubblico verso la tua proposta artistica? C’è ancora quell’interesse che finora ti ha permesso di vendere ben 150.000 copie dei tuoi dischi?

Credo che l’atteggiamento, in generale, non sia cambiato. Diciamo che il “nuovo pubblico”, cioè i giovani, quelli che hanno meno di quarant’anni, non conoscono bene la mia realtà artistica, inondati da un consumismo musicale che non permette loro nessun tipo di ponderata riflessione. Si sa, si tratta di mode. Devo dire, comunque, che ultimamente le soddisfazioni più belle le ho avute proprio dai giovani: mi vedono ancora come un “punto di riferimento” friulano e mi spronano a continuare. In futuro penso di avere un ruolo ancora più importante: alla bufera resistono gli alberi con le radici più forti. E io le ho forti!

Per quanto riguarda i dischi, premetto che 150.000 sono stati venduti in trent’anni. Se vivo ancora trenta facilmente ne vendo altrettanti.

 3) In una recente intervista sul Messaggero Veneto hai criticato la “confusione” in cui si trova oggi l’attuale panorama musicale friulano: a che cosa è dovuta secondo te tale confusione?

E’ dovuta al consumismo. Bisogna produrre! Non importa cosa, basta produrre. Paradossalmente c’è il rischio che ci siano più produttori che consumatori. Chiaro che non si vende! Chiaro che ci vogliono i contributi... o si chiude! Non mi sembra, dicevo in quella intervista, che questa sia la politica giusta per salvaguardare la nostra identità. Dico questo per il rispetto che ho verso tanti giovani che vengono “adoperati” per queste operazioni.

4)Considerando i recenti sviluppi della legge per la tutela delle minoranze linguistiche che, a quanto pare, sembra porterà l’insegnamento della lingua friulana nelle scuole?

Sono dei palliativi per i moribondi! Forse è la vocazione del friulano quella di essere sempre “moribondo” e a forza di stampelle… tira avanti e non muore mai. L’idea, in se per se, è valida. C’è il rischio, però, che la “madrelingua” diventi la lingua della maestra, non più della madre. Se non c’è un impegno, altrettanto efficace, che incentivi i genitori e i nonni a trasmettere questa identità, lingua compresa, può rivelarsi uno sforzo inutile. Ecco riemergere un’altra volta la spaccatura drastica voluta con il passato che va a rischio di mandare in fumo il vero obiettivo.

 5)Per finire, parlaci dei tuoi futuri progetti musicali: a quando il prossimo disco?

Sto lavorando su progetti di spettacoli “teatro-canzone” che presentano, attraverso monologhi e canzoni, la vecchia e la nuova realtà friulana, cercando un filo conduttore che le unisca. Sogno uno spettacolo fatto in collaborazione con artisti professionali, una scenografia, una regia e un sostegno finanziario che permetta di portare sul palco uno spettacolo “dignitoso”.

Per il prossimo disco! Non so quando lo farò e se lo farò. Per adesso mi sembrano più importanti altre cose. Non sento il bisogno di produrre… a tutti i costi!

Oggi si fa poco per difendere la nostra identità

Messagero Veneto - Nicola Cossar

Dario, tu hai cominciato a cantare alla fine degli anni Sessanta: che musica si faceva in Friuli a quei tempi?

“A parte il settore corale, sempre fiorente qui da noi, la musica seguiva la canzone melodica italiana. C’erano Beppino Lodolo, Dino Furlanetto, Edda Pinzani (con la quale ho anche collaborato in un disco). Cantavano in friulano usando modelli italiani. In realtà non esistevano “storie” friulane se non quelle legate al mondo dell’emigrazione e alle tradizioni. In quegli anni nascevano i primi gruppi giovanili: il mio primo complesso si chiamava “The Yellow Group” con giovani di Talmassons”.

Che musica facevate?

“Le canzoni degli anni Sessanta, italiane e straniere. Non proponevamo niente di nostro”

Fino a che…

“Ho sentito la necessità di esprimermi in lingua friulana, ma in un modo un po’ diverso degli artisti che ho citato: volevo scrivere cose nuove, testi e musiche, che rispecchiassero il vero volto del mondo friulano. Insomma, canzoni d’autore”.

Nel 1975, dopo alcuni anni di rodaggio, esce il tuo primo disco “Mandi vecjo Friûl”. E’ il primo storico capitolo, non solo del tuo percorso, ma anche della canzone friulana.

“Senza presunzione, dopo 10 album e 150 mila copie vendute, posso dire di aver aperto una strada che altri hanno seguito esprimendosi con musiche e testi friulani. Il successo del disco dimostrò che anche la canzone in friulano aveva un suo pubblico ed un suo mercato”.

Alcuni cantautori di oggi ritengono il tuo stile ed il tuo linguaggio superati dai tempi. Cosa rispondi a queste critiche?

“Può darsi, non si può cambiare stile ed espressione a proprio piacimento, ad ogni cambio di governo. Però vorrei capire cosa intendono loro per “cantautore”. Io mi ritengo uno che racconta le storie della propria terra e della propria gente senza ambizioni letterarie. Fare cose semplici comunque è difficile: i cosiddetti “cantautori” oggi, forse, sacrificano la genuinità e la spontaneità dell’espressione alla ricerca di nuovi ritmi, di nuove sonorità, di linguaggi più contaminati”.

Qualche esempio…

“Premetto che i miei rapporti con tutti i musicisti friulani sono buoni. In quarant’anni ho visto passare sotto i ponti tanta “roba” friulana, ma in realtà molti non hanno lasciato una traccia. Facciamo qualche nome. I Mitili Flk - che si sono fatti conoscere anche fuori dai confini regionali - li ricordo più per il nuovo “sound”, per ritmo, per l’impeto e per la qualità dei musicisti, per la riproposta di vecchi motivi, frutto di interessanti ricerche, doti che hanno decretato il loro successo fra i giovani. Mi dispiace però che non abbiano usato il loro talento per valorizzare di più la lingua e l’identità friulane”.

Ecco un punto importante. Qual è stato il tuo impegno in favore dell’identità?

“Non si è fermato certo alle canzoni. Oggi a sessant’anni, mi sono accorto della debolezza dei friulani: gente paurosa, che non vuole esporsi in prima persona, che non ha guide carismatiche, e per questo è destinata a scomparire. Resterà una lingua da studiare, grazie alle nuove leggi, ma non un popolo da studiare. E’ mancata la lungimiranza, è mancata la capacità di leggere i tempi che cambiano. Fra vent’anni, anche meno, avremo qualche sindaco marocchino, qualche consigliere comunale albanese… Nulla di strano o di sbagliato: gli errori sono altri, e li pagheremo”.

Si può ancora porre rimedio a tutto ciò? Si può ancora sperare in un friulano forte nel nuovo millennio?

“Credo di no, anche se la speranza c’è sempre, perché non c’è la volontà nel mondo della politica e dell’imprenditoria. E non abbiamo saputo copiare da chi è più bravo di noi: ha il nome in catalano (Camp Nou) lo stadio di Barcellona, tanto per parlare così del mancato ruolo dell’Udinese in favore dell’identità. Il nostro inno della “Champions”, per esempio, è in inglese. E il friulano? E’ solo una sorpassata espressione folcloristica o resta invece il dna di un popolo? Mi piacerebbe essere smentito. Pensa che anni fa, quando sono entrato in politica deciso a lottare per l’identità, sono stato subito aggredito dagli stessi friulani, forse perché ero un intruso, uno fuori da giochi, schemi e schieramenti. Come fosse proibito a un friulano comune entrare in quelle stanze. Forse all’inizio non lo ero, ma oggi sarei stato sicuramente pronto ad essere un punto di riferimento, una guida, cioè un friulano che, unendo le proprie forze a quelle degli altri che la pensano come me, porti avanti sul piano politico, e non partitico, questa lotta per la cultura e l’identità friulane”.

Ma tu sei prima di tutto un cantautore. Pensi di avere dei compagni di viaggio in questa sfida?

“Spero proprio di si. Vorrei dedicare la mia prossima “giovinezza” a collaborazioni con i vari artisti friulani. Non sarà facile, perché ognuno ha il proprio castello e all’imbrunire alza il ponte levatoio. Però sto già lavorando per costruire situazioni e progetti che vadano al di fuori e al di sopra del normale schema dello scambio musicale, dell’omaggio: mi interessa lavorare con gente che ci crede veramente e che non ha paura. Ricordo allora Gigi Maieron, Lino Straulino, gli stessi Mitili Flk, i vulcanici e più giovani Arbe Garbe. E ce ne sono altri. Qui non si tratta di avere stili simili, ma un percorso simile, al servizio, e sottolineo la parola servizio, della nostra gente, della sua lingua e di un’identità che cammini con noi attraverso i tempi che cambiano. Così saremo più forti quando dovremo confrontarci con le altre culture e con… le nostre paure”.

Dario Zampa torna con Voe di identitât, richiamo alle radici del mondo friulano

Nicola Cossar

UDINE. L'identità, i valori e le tradizioni sono i semi del Friuli di domani, di un Friuli non solo storico-geografico, ma anche sociale, culturale e politico, nel senso più nobile e più alto del termine. Per questo con Voe di identitât, il suo album numero 11 che presenta oggi in Provincia, Dario Zampa ci regala sì una bella serie di canzoni in marilenghe, ma prima ancora pone delle questioni e delle riflessioni sulle nostre radici e sui nuovi scenari.

Dario, questo è dunque un album politico?

«Lo è nella misura in cui ci intendiamo sull'aggettivo politico. Questo disco segue altri dieci che in tutto hanno venduto oltre 150 mila copie e non si discosta dal mio pensiero: in quarant'anni di attività artistica, come sanno tutti, ho proposto le mie idee-messaggi sul Friuli e sui friulani sempre con garbata fermezza. Disco politico perché anche con queste canzoni dico che oggi più che mai è importante decidere se avere un'identità, e quindi una cultura ben connotata e un forte senso di appartenenza alle spalle, o se diventare un numero nell'immenso e fantasmagorico ingranaggio mondiale che tutto assimila e spersonalizza. Io non faccio battaglie, ma dico cose».

Tutti conosciamo i tuoi intensi percorsi televisivi e di scrittura che ti hanno fatto amare come pochi in Friuli. Perché, allora, dieci anni di silenzio discografico?

«Proprio perché ho battuto anche altre strade. Ma prima o dopo devi tornare alla tua dimensione più naturale, che per me è la canzone. Pensavo fosse venuto il momento – come accadde nel 2000 per Benvignûs – di mettere dei punti fermi di fronte ad un mondo, e a un Friuli, in veloce evoluzione. Pensavo fosse giusto parlare ancora, con amore e chiarezza, di radici».

Come nella canzone Il cjariesâr?

«Esatto. Tutti vediamo, guardandoci un po' in giro, anche qui, che è in atto un cambiamento naturale che nessuno può fermare. Esso comporta una nuova identità per il nostro Friuli. Questo cambiamento, perché non sia deleterio e annichilente, va guidato con il giusto equilibrio e con adeguato buon senso. L'albero – canto nel pezzo citato – ogni anno mette rami nuovi, foglie e frutti nuovi. Cresce, cambia, ma se le radici non sono ben fissate nel terreno, cade facilmente. Come una cultura e un popolo. Il mio dovere (non solo mio, per carità!) è dire tutte queste cose, mettere in guardia sulla delicatezza di questo passaggio, affinché il Friuli sia cosciente che rischia la propria identità e i propri valori. Se li perde, non li ritroverà più».

Valori che, invece, secondo te, devono essere le fondamenta della nuova stagione. I nuovi e antichi semi. È così?

«Le radici sono garanzia di futuro. Identità, valori morali e tradizione sono il nostro viatico. Non come qualcosa di immutabile, di imbalsamato, ma un pane vivo, qualcosa che cammina con noi nel mondo che cambia, che ci accompagna nell'incontro con genti e culture diverse che arrivano anche in Friuli. Bisogna essere aperti agli altri, ma invece di sacrificare il nostro essere friulani sarebbe più bello che facessimo diventare gli altri (almeno un po') friulani. Traducendo, rispettare tutti ma anche farsi rispettare. In tal senso, quei tre semi non sono più retaggio ma qualcosa di rivoluzionario».

Che rischio corre chi non ha in tasca quei semi?

«L'anonimato, il numero, lo smarrimento e poi l'indifferenza, il peggiore di tutti i mali. Con l'indifferenza non ci sono frutti e il domani non viene mai».

Il discorso dell'identità porta anche alla politica in senso più stretto...

«È vero. Io ho fatto politica con il Movimento Friuli. Sono stato il primo a parlare in marilenghe in Provincia e proprio su mia proposta si è deliberato l'uso del friulano in consiglio provinciale. Ma quella del Mf è una stagione ormai morta. Oggi leader carismatici non ne vedo, l'idea di una capitale friulana è dimenticata e il confronto con Trieste è spesso impietoso: lì c'è la Regione, lì c'è la Rai, lì c'è il Teatro Stabile, che di regionale ha ben poco. Non lo dico per sollevare altre polemiche inutili, ma per amore verso la mia gente e per proporre a tutti una riflessione sulla necessità di avere una visione chiara della propria appartenenza e del proprio percorso, anche dei propri sogni».

Dario, ma oggi quanti Friuli ci sono?

«Tocchi un tasto dolente. Si coinvolge la gente con la tv e con la radio, con internet e con i giornali, però non si riesce a guardare lontano, non esiste una visione unitaria del Friuli e della friulanità. Non deve essere unica, ma unitaria sì».

Basta la visione?

«La visione deve essere figlia dell'anima e del cuore dei friulani. Pasolini sì che ci aveva capiti! Più di tutti gli altri. E la scelta di musicare due sue canzoni per questo disco non è casuale. Magari ce ne fossero dei Pasolini oggi, delle menti capaci di illuminare!»

Allora la tua Voe di identitât racchiude anche questo desiderio?

«No, più semplicemente il desiderio che il friulano capisca quanto è importante oggi sentirsi popolo, con un'identità, dei valori e una tradizione, che sono Il cjariesâr del nuovo millennio».

Dario sogna un altro Friuli

Andrea Ioime - Il Friuli

Cantautore, conduttore televisivo, ambasciatore del Friuli nel mondo e icona della friulanità. Dario Zampa è stato ed è tutto questo e tanto altro ancora: il primo a incidere un album tutto in lenghe, negli anni ’70 e, al capitolo ‘varie’, il primo a ufficiare un matrimonio in friulano a Udine, su delega del sindaco Honsell.

Amato e odiato a seconda dei periodi storici dalle diverse generazioni di corregionali, Zampa è tornato a uno dei primi amori: la tv, dove è stato ‘pioniere’ dei programmi in  marilenghe, a cavallo tra anni ’70 e ’80, con programmi storici come ‘Caric e briscule’. Ora conduce ‘Lo scrigno’ ogni martedì su Telefriuli e, ancora una volta, guarda avanti restando coi piedi ben piantati nella tradizione.

“Ti dico la verità - giura - Non avevo tanta voglia di farlo, perché preferisco impegnarmi in poche cose ma buone. Faccio un giornaletto a Mortegliano che ha 2 mila abbonati, porto avanti progetti per Friuli nel mondo, ho scritto la mia autobiografia, che attende da un annetto di essere pubblicata. Io vorrei andare in pensione, ma non mi lasciano?”.

La sensazione, in effetti, è che a parole tutti dicano ‘largo ai giovani’ e poi tornano da te?

“Credo che la gente abbia bisogno di riconoscersi, nella confusione di oggi, in un punto di riferimento credibile. Succede anche in ambito artistico: ci sono bravi giovani, ma durano poco e non c’è tempo di conoscerli. Per questo si va alla ricerca delle radici”.

Sei soddisfatto di come i media usano il friulano?

“Ho le idee chiare: saprei cosa fare, non solo un programma, ma la tv in generale. Ci vorrebbe più professionalità e inventiva, fare poco e bene, ma in Friuli è difficile. Mi piacerebbe fare un programma in giro per il Friuli, curiosare, stupire i friulani facendogli vedere cosa abbiamo. Ma solo la Rai potrebbe: invece, negli anni ’80 ci hanno raccontato che Rai 3 era la Rai delle regioni, e oggi siamo relegati a 15 minuti. Pensa come avremmo  potuto lavorare oggi! Ecco perché sono un nemico di Rai 3 in forma morbosa”.

Ma la domanda cattivella che tutti si fanno, quando appari in tv o a un festival, è ‘perché ancora Zampa’? E perché sempre a parlare del passato?

“In realtà, ‘Lo scrigno’ che faccio io è il contrario di quelli precedenti, dove il soggetto erano le tradizioni: io voglio far parlare la gente, perché il segreto è stare con la gente. Intervisto giovani e anziani e cerco di raccontare quello che c’è in giro. Qualche anno fa avevo cercato di anticipare il Friuli di domani, con ‘Friuli 2036’: una cosa un po’ ardita e strana, con gli extracomunitari che parlavano in friulano. Non ha attecchito, forse perché era di sabato sera, o forse perché alle novità bisogna credere fino in fondo”.

Forse il pubblico medio non era ancora pronto all’idea di un Friuli multietnico?

“Il friulano non morirà, questo è chiaro: ho appena letto un libro del ‘ 32 in cui sostenevano che sarebbe sparito entro 50 anni e invece è ancora qui. Certo, a parlarlo sono anche altri: conosco albanesi e napoletani che sono più friulani dei friulani e vogliono condividere le radici. I friulani di domani sono loro, assieme a cinesi e africani che vivono qui: non mi sorprenderebbe se fra qualche anno ci fosse un Fogolâr albanese o ucraino. Qualcuno ha paura o è geloso, ma bisognerebbe domandarci di chi siamo figli noi: di barbari, sicuramente...”.

Come lo vedi questo Friuli?

“Vedo poca identità friulana e poco amore per la terra tra i politici di entrambi gli schieramenti.  Loro sono sotans e noi siamo schiacciati da Veneto e Slovenia e perdiamo forza! In Italia, ormai, per tutti il Friuli è veneto: se ne è accorta bene la Chiesa, che intuisce le cose. Non è un caso, se vai a vedere, che tutti i tre vescovi friulani siano veneti”.

E i friulani all’estero? Cosa pensano? Ma soprattutto:  sono contenti di avere sempre gli stessi interlocutori o preferirebbero qualcuno più giovane?

“I figli e nipoti dei friulani all’estero non sono friulani, ma argentini, australiani, canadesi che spesso non sanno neppure dove siamo, ma hanno rispetto e curiosità per le radici: non puoi pretendere che uno di loro abbia intenzione di imparare il friulano. A me interessa che restino l‘anima, il cuore, lo spirito. Non dobbiamo tormentarli con Zampa o il balletto folcloristico, ma farli innamorare del Friuli. E’ per questo che una volta all’anno vado all’estero: è stato il presidente di Friuli nel mondo a chiamarmi per coordinare progetti culturali. Zampa può piacere o meno, ma alla fine ho visto passare tutte le generazioni, contro di me e a favore, e alla fine continuano a chiamarmi”.

Come in tv, insomma. Pensa a uno che per 30 anni ha tenuto spenta la televisione: la riaccende e trova ancora Dario Zampa?

“Credo sarebbe peggio se dopo 30 anni ci fossero sempre gli stessi politici! E’ normale, per quelli che sono liberi e hanno occasione di portare avanti le loro idee senza essere legati a politiche e/o contributi. La mia libertà mi è costata un occhio, ma sono contento lo stesso: non sono entrato nel ‘circuito’, ho sempre pagato tutto di tasca mia. Questa è la vera fortuna: nessuno mi può fermare perché nessuno mi può ‘tagliare’. In giro c’è gente più brava e preparata e colta di me, è vero,  ma non dura”.

E’ per questo che spesso sei stato polemico con i tuoi colleghi ed ‘eredi’ della canzone friulana?

“Ma no: sono su Facebook anch’io e vedo quanti di loro vanno in  giro per il mondo. Non sopporto quelli che piangono usando il friulano: sono la parte negativa e io ultimamente sono più positivo, cerco di scrivere canzoni di speranza. Non ho rancori nei confronti dei colleghi, anche se qualche volta sembra che vogliano combattermi. Io li sostengo, ma devono saper resistere e combattere. C’è stata gente anche aggressiva e cattiva contro di me, artisticamente parlando. Io ho lasciato sempre passare perché il tempo aggiusta tutto. E poi, alla fine, sono ancora qua, io!”.

Dario Zampa, 40 agns di cariere artistiche

Patrie dal Friûl

Zampa cemût ch’a si stâ con 40 agns di cariere daur?

Si sta ben, ancje cun cualchi an di plui su la gobe, parvie che se dopo 40 agns di ativitât artistiche no ti àn dismenteât al ûl dî che al è restât ancjemò un agâr là che puès cori... aghe furlane.

Al è sodisfat di cemut ise lade fin cumò?

Sì, o soi sodisfat! Cence dilungjâmi tai particolârs o puès dî che ta chest arc di timp, metint in cont il pro e il cuintri che al segnale cualsisedial percors, a conts fats il risultât al è positîf.

A dicembar stât lu an festezat cuntune fieste “Il Friuli di Dario Zampa” a teatri a Udin. Cemut ise lade?

E je lade plui che ben. Sintî lis mês cjançons interpretadis di cjantants, gran part zovins, che lis àn presentadis a lôr mût cun grinte e braure, mi à emozionât. Mi son plasudis plui... dal origjinâl. Par chest mi sint di ringraziâ di cûr ducj chei che a àn colaborât a chest apuntament: cjantants, presentadôrs e la Provincie di Udin.

Jessi un pont di riferiment pe furlanitât e jè une biele responsabilitât… Cemût la cjape?

Mi semee un pôc esagjerât il parangon. E je une responsabilitât masse grande! A son ben altris i ponts di riferiment de furlanitât. Di pre Checo Placerean a pre Toni Beline... e altris ancjemò. O pues intrometimi dome se si cjacare di cjançon popolâr furlane. Lì sì! O crôt di jessi jentrât tal cûr dai furlans plui di tancj altris.

Dario Zampa isal “moderni”, atual ancje pes gjenerazions di vuê?

No crôt di sedi moderni. O crôt però che a puedi tornâ di mode la tradizion. Mi speghi: la cunfusion gjenerâl dal vivi di vuê, che si ridûs a chê brute peraule che je “omologazion”, a cîr di “robâ” valôrs e identitât e, duncje, al sarà normâl che, prin o dopo, un zovin si domandi se a vâl la pene di vivi dome cuntun “numar” su la schene, come chei che a son in pereson... Ta chest câs o puès sedi ancjemò util pes gnovis gjenerazions.

La musiche e pol ancjemò jessi un baluart, une maniere par pandi ator le identitât furlane?

Di sigûr! Tal gno câs, no jessint un musicist, o met in prin plan la marilenghe che mi pâr ancjemò plui impuartante de musiche cuant che si fevele di identitât. La musiche si preste di plui ais contaminazions, ae ricercje di cheste “modernitât” che, tal nestri câs, a puès facilmentri puartâti fûr di strade...

La lenghe no si barate! Al è un pont di riferiment une vore plui clâr.

Cemût ch’al viôt le sene musicale di vuê in marilenghe?

Ultimamentri no mi displâs. E je tornade a saltâ fûr une ondade di artiscj che si fasin preseâ soredut tal forest. A àn puartât a cjase premis impuartants vincint concors nazionai e cjantant in marilenghe... Cheste gnove situazion e je interessante. Ancje se in Friûl, purtrop, a rive dome la notizie di chestis prestazions forestis, si cree une inmagjine di furlanetât impuartante, che e zove plui di ce che si pense ae nestre cause. Come a dî che i forescj a crodin plui di nô ae identitât di ognidun. Orpo che a zove!

Chi o vin dificoltât a fâ un festival de cjançon furlane.

E sares stade divierse cence di lui?

No lu sai! Probabilmentri e sarès stade la stesse. Postâi che tal timp, tai varis passaçs artistics dai nestris musiciscj e autôrs a vedi zovât ancje la mê vene... se no altri par cambiâ “musiche”! A puès vê zovât ancje par chel.

Lui al à dit di sintisi l’unic cjantautôr furlan “politic”, ce ch’al vûl dî?

No soi un politic, ma no contesti cheste definizion.

Pal vêr, tai agns ’90, o ai cirût di intrufulâmi tal nestri laberint politic... O soi stât conseîr provinciâl cul Moviment Friûl... O ai tentât!

O intindevi dî che cence la volontât dai politics al è une vore plui dificil sustignî culture e identitât furlane. In plui di cualchi cjante o cualchi gno intervent o ai fat presint cheste mancjance “politiche” tal nestri setôr. No mi visi di altris artiscj furlans che a vedin metût la muse... in politiche.

Lui al à un biel osservatori. In 40 agns di carriere cemût ise cambiate la Patrie?

E je cambiade cetant. Ma lu riten un fat normâl. Dal gno osservatori o puès dî che i furlans, int di ìndule austriacante, a son stâts talianizâts. O vin cjapât plui di chei dal Sud che di chei dal Nord. “Brâf chel che al è rivât a lâ in pension a 40 agns... Bulo chel che al vîf ais spalis dal sisteme... Svelt chel che al rive a freâti... Si fevele di valôrs. Sino capîts!

E lui, Zampa, cemût isal cambiât in chescj agns?

Probabilmentri no soi cambiât. O soi restât simpri chel! Forsit chest mi à zovât a mantignî une “identitât” visibile, clare, cence compromissions.

O crôt che al sedi chest che al fâs dî che o soi un “pont di riferiment”.

Secont lui isal interes de bande dai zovins par mantignî la identitât? (e dai lôr paris?)

O crôt di sì. O tornìn, però, al discors di prime. I ûl che i crodi ancje la politiche. E je chê, soredut, che à di vê l’interès par trasmetile ai zovins, ai gnûfs rivâts. Al contrari, dut al ven lassât ae buine volontât di cualchidun che, dibessôl, nol rivarà mai a tignî bot a cheste omologazion che a distirpe i valôrs.

Ce doman al viôt o al si augure pe nestre tiere?

Mi auguri che e resti furlane. No son i cambiaments che a fasin pierdi une identitât ma la voie o no di mantignîle. Jo o cognos nèris, marochins, albanês, napoletans... che a cjacarin furlan e che a cirin di convivi cu la nestre identitât. Chei a son i furlans di doman che a son come i furlans di une volte. Se nô i tegnìn ae nestre tiare chei chi a nus vègnin daûr. Ma i tegnîno?

Ce che nus mancje, secont lui, plui di dut? (ancje come rapresentance politiche o intindi)

I rapresentants che o vin vuê in regjon a son neâts tal sostignî il Friûl. Se tu ur domandis alc ti disin che... “a son ben altris i problemes”. No puès sedi rispueste plui ignorante! Nus mancje di sigûr un moviment politic che al sostegni la nestre cause. Lu vevin, ma lu vin lassât murî cul deventâ “masse talians”.

Al à cualchi sium ancjemò di realizâ artisticamentri?

Sì! Deventâ vecjo e viodi i fruts e i zovins che a vegnin a intervistâmi su cemût che la pensi sul... popul furlan. Une testemoneance che e sarès un spetacul ancje chê.

Lui al à dit che cu l’etât si olse di plui. Ce vino di spietâsi di Dario Zampa pal futûr?

Un libar pinsîr, come chel che o ai vût ta cheste interviste. Mandi!

Dario Zampa: I miei primi 40 anni di discografia da cantautore politico friulano

Tante voci per la festa di sabato 20 al Giovanni da Udine. 150 mila i dischi venduti. «La canzone potrebbe riunire la Piccola Patria, ma ci sono troppi autonomisti»

di Nicola Cossar

Se quarant’anni fa lui non avesse deciso di accendere una luce nuova in Friuli osando incidere un disco di canzoni nuove in marilenghe, forse oggi la nostra bella scena musicale sarebbe molto diversa.

Puoi criticarlo, puoi dire che è superato, ma non potrai mai prescindere da Dario Zampa, dal suo cantare oltre la canzone per seguire (e a volte tracciare) le strade dell’identità linguistica e culturale, dell’autonomia, anche esponendosi sul piano politico.

Così, Il Friuli di Dario Zampa, lo spettacolo andrà in scena sabato 20 al Giovanni da Udine vuol essere una testimonianza di grato affetto verso questo innamorato della sua terra e della sua lingua. Niente di retorico o di celebrativo, soltanto le sue canzoni cantate da altre generazioni di artisti in una sorta di trasmissione di responsabilità filiale verso il Friuli.

 Dario, nella squadra che salirà sul palco non ci sono i grandi nomi della scena di oggi. Come mai?

«Ti dirò che è stata una scelta ponderata. Non ho contattato i vari Straulino e Maieron (ultracinquantenni e sessantenni) proprio perché voglio un passaggio di testimone con le nuove generazioni di artisti. Gran parte di quelli coinvolti non sono cantautori, ma ottimi interpreti che, fin dagli anni Novanta, si esibiscono in regione. Unica eccezione mio fratello Ennio, con il quale ho condiviso un lungo percorso artistico, pur mantenendo e rispettando le nostre diversità musicali».

A proposito di altre generazioni, è freschissimo il successo di Loris Vescovo al Tenco con l’album Penisolâti. Che ne pensi?

«Mi dice che non si è mai spenta la fiammella della nostra identità, anche se ogni tanto gli sfoghi mi nascono spontanei: devo constatare che il pur flebile calore che questa fiammella emana mi dà speranza. Ogni anno c'è qualche nostro artista premiato fuori dal Friuli per il suo lavoro in marilenghe. Nel 2014 è stata la volta di un ottimo musicista come Loris. Ciò mi riempie di gioia, ma mette anche a nudo la poca attenzione che il Friuli ha per i suoi talenti. Possibile che i maggiori riconoscimenti arrivino da fuori? Questo deve far riflettere tutti. Comunque, oltre ad apprezzare e a ringraziare questa nuova schiera di artisti, auguro loro di avere la costanza di resistere e continuare sulla strada intrapresa».

Tu sei stato l’apripista della canzone in marilenghe. Come vedi questo fenomeno?

«Nel solco della mia vena artistica sono nati diversi cantautori e gruppi che hanno scelto di esprimersi in marilenghe: io, con le mia passioni per Meni Ucel (un albero con una folta ramificazione, colma di frutti di stagione) e per Gjso Fior (un tronco ben saldo con radici profonde) sono stato un chiaro punto di riferimento. E poi bisogna riconoscere che la tragedia immane del terremoto del 1976 ha molto contribuito alla crescita e al rafforzarsi dell'identità. Così, alla fine degli anni Settanta un nutrito gruppo di nuove leve ha fatto sentire la propria voce friulana. Sono emersi i vari Straulino, Maieron, anche Sdrindule, lo stesso mio fratello Ennio, che prima cantava esclusivamente in italiano, e poi tanti altri Dopo è stata la volta di gruppi come Flk e Arbe Garbe, che a loro volta hanno spronato altri giovani ad avvicinarsi al canto e alla musica friulana».

Oggi forse manca una scelta politica. Pensiamo alla lezione di Ferigo e del Canzoniere di Aiello o ai recenti episodi strauliniani di Fûr dai dincj e Baruc. C’è un cantautorato politico in marilenghe?

«Io mi ritengo l’unico cantautore friulano politico, anche se ci sono diversi artisti che si esprimono in marilenghe legati alla politica. Ne riconosco la bravura, ma, al di là delle esibizioni, non c’è da parte loro un impegno diretto per la tutela dei nostri valori e della nostra identità. È chiaro che nessuno è obbligato a impegnarsi politicamente se non sente questa necessità, ma vedrei di buon occhio un gruppo di artisti che stimolino e facciano sentire la loro voce sulle varie scelte che la politica regionale propone nel settore che ci riguarda. Ma, con il carattere che ci ritroviamo, questo difficilmente potrà avverarsi. Mi dispiace, perché in questo periodo di crisi ci sarebbe l’opportunità di rimescolare le carte, di riunire un Friuli che, con la scusa della soppressione delle province, del ridimensionamento degli enti e dei tagli assortiti, potrebbe trovare una soluzione per unificare sotto una stessa bandiera la nostra Patria. Impossibile. Ci sono una ventina di gruppi autonomisti friulani, l’uno geloso dell’altro, con idee e strategie diverse. Siamo specializzati nel farci del male!».

Che futuro vedi per Dario Zampa?

«Il mio futuro non lo immagino a tinte sgargianti, ma piuttosto tendenti al grigio. Non pensare che sia negativo questo paragone: il grigio non è un brutto colore, anzi! Se ben posizionato sullo sfondo della tela di un pittore, evidenzia tutte le altre tinte, più o meno appariscenti, facilitando la visione dell’intero quadro, È un colore interessante. Comunque, non è mia intenzione impegnarmi a scrivere nuove canzoni, cercare altri sbocchi artistici o inserirmi nei meandri della politica. No! Ho già avuto le mie soddisfazioni nella vita (non solo per i 150 mila dischi venduti) e pertanto non cerco protagonismi e pubblicità. E questo mi permette di agire con una serenità interiore che definirei godibile. Ci terrei però a dare dignità a quello che ho fatto. Per dignità intendo rispetto, considerazione e professionalità. Credo che tanti mi conoscano per l’intensa attività artistica che ho svolto in questi quarant’anni e più, ma che pochi abbiano colto il mio sforzo per difendere e custodire la nostra lingua. Il mio impegno futuro, allora, sarà quello di presentarmi al cospetto dei friulani (e non) confrontandomi non solo a parole ma con i fatti.

In particolare con gli uomini della politica friulana e con i tutori culturali. ll confronto mi affascina. E poi, a una certa età, quando s’incomincia a litigare anche con lo specchio, ci si spoglia di certe ancestrali paure e si osa molto di più».

Grazie Dario, sei una voce di noi friulani

Omaggio a Zampa in un Teatro Nuovo stracolmo. Sul palco altre generazioni coi suoi successi. Poi sale lui tra gli applausi

di Fabiana Dallavalle

UDINE. Dario Zampa, festeggia quarant'anni di carriera e la Provincia di Udine gli dedica lo spettacolo di Natale al teatro Nuovo Giovanni da Udine, sabato sera. Un gesto di affetto e di gratitudine verso un artista innamorato della sua terra e della sua lingua. Niente di retorico o di celebrativo, soltanto le sue canzoni cantate da altre generazioni di artisti in una sorta di trasmissione di responsabilità filiale.

"Il Friuli di Dario Zampa. La storia della nostra terra attraverso le canzoni del cantautore", chiama in scena nove cantanti impegnati in un emozionante passaggio di testimone, e tre cori «per un omaggio - ricorda il presidente Pietro Fontanini - a colui che ha saputo dare un volto ed un'anima alla canzone popolare locale, ad un artista che ha lasciato una segno indelebile nella lingua e nella cultura musicale friulana».

Al timone di una serata speciale, scivolata via con leggerezza, e lungamente applaudita da un teatro strapieno, anche grazie a un perfetto dosaggio tra musica, canto e parole, due attori "di casa", Elvio Scruzzi e Fabiano Fantini, che ancora una volta hanno saputo coinvolgere il pubblico con la loro bravura e intelligenza teatrale. A loro il compito di recuperare il filo della memoria di quattro decenni di musica, attraverso brevi schetch sull’ "uomo medio friulano", quello a cui le canzoni di Zampa si sono ispirate. «Ma non medio come mediocre»– dice Scruzzi a Fantini che risponde «Medio perché in medio stat virtus».

Zero retorica dunque e molte risate, e un passaggio a volo radente sui temi cari al festeggiato che vanta, al suo attivo, ben 150 mila dischi venduti. Poi le canzoni, quelle piú significative dell’autore che vigilava, dietro alle quinte, che tutto filasse liscio.

Gran parte di quelli coinvolti non sono cantautori, ma ottimi interpreti che, fin dagli anni Novanta, si esibiscono in regione. Unica eccezione il fratello Ennio, con il quale Zampa ha condiviso un lungo percorso artistico. Alcune splendide voci femminili quali Cristina Mauro e Claudia Grimaz, a interpretare canzoni a cui viene prestata una sonorità nuova; e poi Giulia Daici, i Quaisi Diesis, Aldo Rossi, Cainero, Franco Giordani, il Coro Meleretum Junior, il Coro voci bianche di Arte… Buri diretto dalla maestra Annalisa Masutti e ancora Gabriella Gabrielli, Elena Marchesan, Manuel Dominko, Ennio Zampa e il Complesso musicale di varietà diretto dal maestro Renato Stukelj, tutti abili nel restituire differenti energie ai pezzi storici. Fabiano Fantini, con la sua inconfondibile voce, legge allora tre brani dell’autobiografia non pubblicata di Dario. Racconta dell'esperienza del suo primo disco, di quell'incontro mai avvenuto con il grande Gino Bramieri alla Rai, che però, potenza dei tecnici venne "montato" come accaduto, e infine un reportage sul Sud America e precisamente sull'altipiano delle Ande. Infine Bruno Pizzul sul palcoscenico, quale speciale testimone di una lunga amicizia. Quando Fantini e Scruzzi chiamano il protagonista per l'abbraccio del pubblico, il cantante è visibilmente commosso. A mente e cuore ancora caldi per la serata, il giorno dopo, subito dopo aver visto giocare la sua amata Udinese dirà: «È stata una serata bellissima. In tutti questi anni

ho tracciato un sentiero. Volevo che ci fosse un passaggio tra me e altri musicisti e questo è avvenuto. Non posso che dire grazie per la testimonianza di rispetto, considerazione che ho ricevuto. Il futuro? risponderò sempre: presente!».

 

 

 

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